È
solo da undici anni che le Foibe hanno conquistato il diritto di memoria. Fu il
30 marzo del 2004, infatti, che il Parlamento della Repubblica varò la legge
che dichiara Giorno del Ricordo il 10 febbraio: solo allora le vittime di uno
dei più orrendi massacri del “secolo breve” trovarono posto del sacrario
virtuale dei civili sacrificati agli interessi della doppia verità ideologica.
Fin lì la loro sorte era stata due volte crudele: povera gente precipitata
negli anfratti rocciosi istriani e dalmati dalle belve di Tito e dai loro
complici, prima, e poi inghiottite dal silenzio che avrebbe dovuto sigillare le
cattive coscienze di tanti, di qua e di là da un confine ritracciato
dall’infamia.
La
storia delle Foibe è innanzitutto questo: un monito che addita un doppio
orrore, quello della “pulizia etnica” e quello della “reticenza intellettuale”,
entrambi perpetrati al servizio della “ragion politica” fatta Moloch cui
immolare innocenti. L’oblio che per lunghi decenni ha ricacciato nel silenzio i
tanti tentativi di riportare alla luce l’atroce verità consumatasi nel triennio
che precedette la fine della Seconda Guerra Mondiale è una lezione di cinismo e
di ipocrisia. In realtà, oggi siamo chiamati ad onorare le vittime di una certa
Storia e di una certa Storiografia, entrambe al servizio della stessa logica
disumana. Basti pensare al fatto che ancora non abbiamo il numero, ancorché
approssimativo, di quanti furono infoibati in quegli anni. Ancora non sappiamo
se esistano altre fosse comuni oltre a quelle scoperte. Abbiamo, invece, i nomi
dei carnefici, quasi tutti morti di vecchiaia, senza aver mai pagato per le
loro colpe, coperti in Jugoslavia e qui in Italia da chi temeva che, insieme a
loro, sul banco degli imputati sarebbe stata portata anche la più strumentale
delle vulgate intorno alla Resistenza.
Di
fatto, abbiamo dovuto attendere che il mito mostrasse le sue crepe perché in
esso si potessero scorgere gli innominabili episodi di viltà e ferocia di cui
si erano macchiati alcuni dei vincitori. Né è bastato averne prova tangibile
per ridare subito dignità alle vittime: mentre amnistie, prescrizioni e
rogatorie andate a vuoto impedivano alla giustizia di fare il giusto corso, gli
infoibati subivano una seconda condanna, ancora più crudele per certi versi,
perché li destinava ad essere considerati un prezzo da pagare per evitare di
mettere in discussione un’egemonia culturale ormai consolidata.
Oggi
non siamo chiamati solo a ricordare un orrendo capitolo di Storia, ma anche a
fare della memoria un garante del diritto alla verità storica, traendola fuori
dai gusci retorici in cui va a perdere ragione e senso. Ben più, molto di più,
di una commemorazione: siamo chiamati ad onorare la Storia come continua
ricerca, piuttosto che come freddo monumento alla più comoda tra le menzogne a
disposizione.
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