martedì 10 febbraio 2015

Giorno del Ricordo


È solo da undici anni che le Foibe hanno conquistato il diritto di memoria. Fu il 30 marzo del 2004, infatti, che il Parlamento della Repubblica varò la legge che dichiara Giorno del Ricordo il 10 febbraio: solo allora le vittime di uno dei più orrendi massacri del “secolo breve” trovarono posto del sacrario virtuale dei civili sacrificati agli interessi della doppia verità ideologica. Fin lì la loro sorte era stata due volte crudele: povera gente precipitata negli anfratti rocciosi istriani e dalmati dalle belve di Tito e dai loro complici, prima, e poi inghiottite dal silenzio che avrebbe dovuto sigillare le cattive coscienze di tanti, di qua e di là da un confine ritracciato dall’infamia.
La storia delle Foibe è innanzitutto questo: un monito che addita un doppio orrore, quello della “pulizia etnica” e quello della “reticenza intellettuale”, entrambi perpetrati al servizio della “ragion politica” fatta Moloch cui immolare innocenti. L’oblio che per lunghi decenni ha ricacciato nel silenzio i tanti tentativi di riportare alla luce l’atroce verità consumatasi nel triennio che precedette la fine della Seconda Guerra Mondiale è una lezione di cinismo e di ipocrisia. In realtà, oggi siamo chiamati ad onorare le vittime di una certa Storia e di una certa Storiografia, entrambe al servizio della stessa logica disumana. Basti pensare al fatto che ancora non abbiamo il numero, ancorché approssimativo, di quanti furono infoibati in quegli anni. Ancora non sappiamo se esistano altre fosse comuni oltre a quelle scoperte. Abbiamo, invece, i nomi dei carnefici, quasi tutti morti di vecchiaia, senza aver mai pagato per le loro colpe, coperti in Jugoslavia e qui in Italia da chi temeva che, insieme a loro, sul banco degli imputati sarebbe stata portata anche la più strumentale delle vulgate intorno alla Resistenza.
Di fatto, abbiamo dovuto attendere che il mito mostrasse le sue crepe perché in esso si potessero scorgere gli innominabili episodi di viltà e ferocia di cui si erano macchiati alcuni dei vincitori. Né è bastato averne prova tangibile per ridare subito dignità alle vittime: mentre amnistie, prescrizioni e rogatorie andate a vuoto impedivano alla giustizia di fare il giusto corso, gli infoibati subivano una seconda condanna, ancora più crudele per certi versi, perché li destinava ad essere considerati un prezzo da pagare per evitare di mettere in discussione un’egemonia culturale ormai consolidata.

Oggi non siamo chiamati solo a ricordare un orrendo capitolo di Storia, ma anche a fare della memoria un garante del diritto alla verità storica, traendola fuori dai gusci retorici in cui va a perdere ragione e senso. Ben più, molto di più, di una commemorazione: siamo chiamati ad onorare la Storia come continua ricerca, piuttosto che come freddo monumento alla più comoda tra le menzogne a disposizione.    

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