venerdì 20 novembre 2015




Ancora una volta siamo costretti a fare i conti con il terrorismo. Ancora una volta corriamo il rischio di fare il gioco dei terroristi. Sappiamo bene cosa vogliono, sappiamo bene che le vittime per loro sono solo un mezzo, che il loro vero fine è muovere l’opinione pubblica alla paura, i governi a reazioni fuori misura. Dio non voglia che si commetta l'errore di secondare i loro disegni. Che l'emozione non sia il tributo da versare per sentirsi esentati dal dovere di comprendere. Che non sia strumentalizzata da chi si proclama il più fiero nemico dei terroristi ma spinge a soluzioni che potenziano gli effetti dei crimini favorendo la loro azione di proselitismo e di reclutamento. Dinanzi alla violenza che lo sgomento ci rappresenta come la furia di una cieca bestia, e che in realtà è la realizzazione di un piano freddamente studiato, vinca la ragione. Siano bandite, da un lato, le vuote costruzioni retoriche e, dall'altro, le fruste semplificazioni di narrazioni che non reggono alla realtà dei fatti. Non si ripetano gli errori commessi all'indomani dell'11 settembre 2001, cedendo alla tentazione di sentirci sullo scenario di uno scontro tra civiltà per avventure che si rilevino perdenti.
Quella che da tempo si consuma in Medioriente, e comincia a lambire le capitali europee, non è una guerra tra religioni, ma una feroce contesa per il riassetto di un'area che da qualche decennio è in permanente stato di destabilizzazione: quella che veste l'aspetto di una sanguinaria resa dei conti tra comunità sciite e sunnite, e tra correnti interne al sunnismo, non è altro che il quadro sovrastrutturale di uno scontro giocato per interessi ben distanti dalla polemica teologica. La partita è tutta geopolitica e gli attori sono in primo luogo l'Iran e l'Arabia Saudita. L'Isis – possiamo anche chiamarlo Daesh, se vogliamo togliergli ogni dignità di Stato, ma di fatto ormai controlla un'area ampia quanto l'Ungheria – l'Isis, dicevo, raccoglie materiale umano tra esaltati, autoctoni o foreign fighters, che nel disegno del Califfato sublimano una condizione di malessere esistenziale, ma i loro capi sono le schegge impazzite dei regimi caduti con le cosiddette primavere arabe, gerarchi dei regimi del partito Baath, che qualche raffinata mente si è illuso di poter manovrare ai propri fini, ben presto vedendo sfuggirsi di mano ciò che aveva creato.
È atroce, ma gli attentati di Parigi, le reiterate minacce ai paesi europei, le cellule islamiste che ormai nascono in franchising a Londra come a Bruxelles, nelle bainlieu parigine o nelle periferie di Marsiglia, sono mosse che i vertici dell'Isis giocano ai margini della loro scacchiera, e tuttavia hanno valenza solo per ciò che implicano riguardo al ruolo che dalla Turchia all'Irak, dalla Libia all'Afghanistan, fin qui hanno giocato le potenze occidentali. In Siria si decidono le politiche d'influenza sull'area, e anche se tardivamente, di certo troppo tardivamente, pare che Stati Uniti e Russia stiano arrivando a comprendere che senza una governance condivisa con chi è realmente intenzionato a spazzare via la minaccia del terrorismo non vi è alcuna via di uscita. Occorre affamare la bestia, non cedere alle sue provocazioni che si travestono da jihad. Occorre finalmente tagliare i flussi di risorse che ai criminali della bandiera nera arrivano da Riad e dal Qatar, impedire che gli approvvigionamenti economici e militari arrivino loro da canali fin qui rimasti incontrollati: immaginare crociate in difesa dell'occidente giudaico-cristiano, a ondate di bombardamenti o con campagne di terra, non può che gettare benzina sul fuoco, dando sostanza alla vulgata della propaganda salafita e waabita di un Califfato come controffensiva al neo-capitalismo e alla decadenza morale dell'occidente.
I nostri valori di tolleranza, di rispetto per la vita, di libertà religiosa non possono essere sacrificati per essere difesi. Il nostro stile di vita non deve essere messo in discussione da chi ritiene che sia la causa dell'attacco che subiamo: saremmo al controsenso di cedere a ciò che intendiamo combattere. La sfida che ci è gettata in faccia può vederci perdenti solo se lasceremo che la paura ci impedisca di vedere ciò che realmente sta accadendo. Accettarla sul piano che i terroristi dell'Isis hanno scelto sarebbe catastrofico. Vedere nell'Islam una religione di conquista, vedere nei migranti dei potenziali assassini, è quello cui veniamo tentati: cedere sarebbe la rovina. 

mercoledì 30 settembre 2015

Il Forum Universale delle Culture tenuto a Napoli nel 2014 è servito almeno ad una cosa: illustrare a chi voglia ospitarlo per le successive edizioni tutto ciò che non va fatto, e che invece a Napoli è stato fatto. Per aver seguito da vicino, tappa dopo tappa, tutto ciò che ha preceduto e accompagnato l'evento, non mi è difficile stilare l'elenco: mi basta far la sintesi di tutto ciò che in questi anni ho detto e scritto in veste di presidente della Commissione Cultura e Turismo del Comune di Napoli, che anche riguardo al Forum non ha potuto svolgere altra funzione che quella assegnatogli dalla sua natura di organo esclusivamente consultivo.
Che Napoli dovesse ospitare il Forum era già noto da tempo, da prima che la Giunta presieduta da De Magistris si insediasse a Palazzo San Giacomo. Che per un evento del genere si dovesse cominciare a lavorare da subito era perfino ovvio. Che il modo migliore per sprecare tempo fosse quello di logorarci nella discussione sulla governance, arrivando impreparati, con ciò sprecando una straordinaria occasione di rilancio per la Città, non era difficile prevederlo. Che poi occorresse evitare che il Forum si traducesse in una serie disarticolata di manifestazioni, e che anzi dovesse farsi interprete del meglio di quanto è vivo a Napoli, per dar vita a iniziative che dall'evento traessero forza per costruire un solido e duraturo tessuto di attività, non era certo un'idea temeraria.
Bene, tutto è andato come peggio non poteva andare. Sprecando un'occasione irripetibile, innanzi tutto. E poi lasciando una semina di sospetti riguardo a quanti, a vario titolo, hanno messo le mani in pasta, che, seppur dovessero cadere all'analisi delle responsabilità di ciascuno, non riusciranno ad assolvere alcuno sul piano politico. Nulla ha funzionato come avrebbe dovuto: né le istituzioni, né la burocrazia, né quella macchina che si è rivelata assai al di sotto delle millantate virtù di «industria creativa». E il peggio è stato offerto dopo, a Forum ormai chiuso: rimane in piedi il carrozzone della Fondazione che ha gestito l'evento e che ora, lungi dal procedere al suo scioglimento, ci fa attendere ancora la pubblica rendicontazione del come abbia speso un portafoglio di oltre 10 milioni di euro per un pugno di spettacoli e manifestazioni varie che hanno avuto un pubblico inferiore a mezzo milione di persone. Alle pressanti e reiterate richieste da parte della Commissione da me presieduta, solo risposte vaghe ed evasive.

mercoledì 16 settembre 2015

L'articolo a firma di Alessio Gemma (Napoli – la Repubblica, 9.9.2015) illustra ottimamente la situazione conseguente al decreto licenziato il 1° luglio 2014 dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali del Turismo: a quindici teatri napoletani, molti fra i quali negli ultimi decenni hanno dato vita ad esperienze di straordinario livello artistico, viene sospesa ogni forma di contributo pubblico. Per la natura stessa di un settore che ormai da tempo non può far fronte ai costi d'impresa con le sole risorse derivanti dagli utili, sarebbe stato meno ipocrita decretarne d'imperio l'immediata chiusura. Mi pare evidente che, a dispetto delle dichiarazioni d'intento espresse alla voce «obiettivi strategici» (art. 2), la logica che ha informato l'improvvido decreto sia in patente continuità con quella che ha devastato la cultura italiana lungo tutto il ventennio berlusconiano: se non fai cassa, sei di peso, dunque poco male se sparisci. Non è questa la logica che ha portato al degrado delle eccellenze che ormai ci è dato solo rimpiangere, promuovendo ogni sorta di mediocrità, purché di pronta appetibilità? È azzardato imbastire un parallelo tra questo degrado e quella «demagogia dall'alto» che minaccia di svuotare la democrazia di ogni sostanza lasciandone intatta la mera forma? Lasciamo perdere, sarebbe divagare: torniamo alla questione dei quindici teatri napoletani che corrono il rischio di trasformarsi in paninoteche o in sale da videopoker. L'articolo dà voce a quanti, a vario titolo responsabili dell'amministrazione pubblica locale, comunale e regionale, si stanno attivando per strappare una qualche deroga al signor Ministro, com'è d'uso, in extremis. Del tutto condivisibili, direi, i toni preoccupati. E tuttavia sono sicura che anche ad essi non può fare difetto la presa d'atto che ogni concessione, necessariamente limitata al possibile, non sarebbe la soluzione a un problema che a mio modesto avviso è più ampio e esorbita dal caso specifico. Ne parlo grazie all'esperienza maturata negli oltre quattro anni di presidenza della Commissione Cultura e Turismo del Comune di Napoli, che non sarà superfluo rammentare, qui, sia organo di mera funzione consultiva. Bene, penso che la vicenda del Forum Internazionale delle Culture – e mi riferisco a tutto ciò che ha preceduto e accompagnato l'evento, oltre che a ciò che poteva essere e non è stato – sia emblematico del limite che affligge anche la più encomiabile volontà, mortificandola a velleitarismo. È il limite che impronta la revisione della spesa pubblica da parte dello Stato sulla base di criteri ispirati al più spiccio mercatismo, ma che allo stesso tempo sottrae alle amministrazioni locali quel grado di autonomia – politica, prim'ancora che economica – che abbia modo di darsi i tempi e i modi del progetto di largo, ma soprattutto di lungo respiro. In altri termini, direi non se ne esca senza il recupero di un'articolata presa d'atto, a Roma e a Napoli: in certi ambiti, e la cultura è uno di questi, la produttività non può esaurirsi nel piatto calcolo d'impresa; l'autonomia si guadagna producendo eccellenza che sovverta la logica di questo calcolo; nulla di questo può realizzarsi fino a quando governo centrale e governo locale continueranno ad essere appiattiti sulla gestione delle emergenze, che si traducono in sofferenza economica solo dopo che sono state eluse come occasioni di sviluppo e di crescita.


Maria Lorenzi
Presidente della Commissione Cultura e Turismo del Comune di Napoli

martedì 28 aprile 2015

Un futuro per il Trianon

La vicenda del Trianon è emblematica dei guasti che affliggono la gestione del patrimonio storico e culturale della nostra Città. Parliamo di uno di quei luoghi che dovrebbero essere tappa obbligata di un percorso attorno alle tradizioni di Napoli, un teatro dall'acustica perfetta, che ha un secolo di vita, lungo il quale ha visto nomi illustri come Scarpetta, De Filippo, Viviani, Di Maggio, De Curtis, Maldacea calcare le tavole del suo palcoscenico, fino a diventare una vera e propria Mecca della Canzone Napoletana, e che ora invece cade a pezzi nell'incuria e nel degrado, a mostrarci i segni estremi del disinteresse delle istituzioni verso il bene pubblico. Un motivo in più per vergognarci dell'insensibilità e del pressapochismo che mandano in rovina le infinite risorse che il passato ci ha trasmesso e non aspetterebbero altro che un minimo di acume per diventare occasione di sviluppo.
In sostanza – avrete letto – la Regione Campania lascia che le infiltrazioni d'acqua facciano marcire il soffitto del loggione, che i fregi cadano a pezzi, che le crepe dell'antica Torre della Sirena, venuta alla luce durante i lavori di ristrutturazione di appena una dozzina d'anni fa, minaccino uno dei più interessanti reperti archeologici della Città Greca di ventitré secoli fa, mentre ambienti che sarebbero ideali per ospitare mostre e convegni sono lasciati ai topi. Di fatto, un'amministrazione regionale che più volte, soprattutto nel recente passato, ha dato ampie prove di una disinvolta (diciamo così) gestione delle risorse economiche, non riesce a trovare i fondi neppure per assolvere al compito della manutenzione ordinaria: l'impresa di pulizie non è pagata da mesi, ci sono state proteste da parte dei lavoratori, il conto corrente del teatro è sotto pignoramento.
Un'altra triste prova di ignavia e di irresponsabilità che chiamano il nostro Comune a farsi attore primario di un recupero della struttura, lì dove la Regione ha miseramente fallito. Questo è l'auspicio che accompagna l'idea di un'assemblea pubblica a Palazzo San Giacomo che dovrebbe tenersi la prossima settimana. L'augurio non è solo che il Teatro Trianon riacquisti il suo decoro, ma che possa trovare energie e idee per risorgere come fucina di iniziative.

domenica 8 marzo 2015

Forum Internazionale delle Culture e Teatro Mercadante, due facce dello stesso problema. Politico, ovviamente.

Due pagine del Corriere del Mezzogiorno di venerdì 6 marzo meritano qualche commento.
A pag. 4, a firma di Fabrizio Geremicca, un articolo ci informa che «Luca De Fusco lascia la direzione artistica del Napoli Teatro Festival» con una modalità che potremmo definire quanto meno irrituale, annunciando le sue dimissioni alla stampa invece che al presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Campania dei Festival. Poco male, verrebbe da dire, l’importante è che l’abbia fatto, con ciò risolvendo l’annosa anomalia del suo doppio incarico con la direzione artistica del Teatro Mercadante. E tuttavia vale la pena di soffermarci a considerare le ragioni che egli ci offre a motivare le sue dimissioni, perché sono sintomatiche di malcostume.
De Luca dice che lascia «per un problema fisico di impegni», dice che intende dedicarsi alla direzione artistica del solo Teatro Mercadante, che incidentalmente ha ottenuto di recente il riconoscimento di Teatro Nazionale dal Ministero della Cultura, con un sovvenzionamento di un milione e 200mila euro. In sostanza, il nodo di quella che era un’incompatibilità funzionale, prim’ancora che questione di galateo, si scioglie perché, tra le due direzioni artistiche, De Luca sa quale scegliere, e sceglie proprio quella alla quale sarebbe stato corretto rinunciasse, almeno a rigor di logica. È da rimarcare, infatti, che il Teatro Mercadante ha acciuffato il riconoscimento di Teatro Nazionale non grazie, ma nonostante alla direzione artistica di De Luca, il cui progetto è stato giudicato gravemente carente dalla commissione aggiudicante. In pratica, il Teatro Mercadante è Teatro Nazionale perché non si poteva negarne uno a Napoli: una concessione alla tradizione teatrale della Città, peraltro ribadito dal giudizio della commissione aggiudicante, nel quale De Luca ha letto solo il rilievo di «opacità» col quale si bollava il suo doppio incarico, non le critiche a un cartellone povero e disarticolato. Non c’è che dire, da direttore artistico di un teatro De Luca avrà i suoi limiti, ma da teatrante è insuperabile.
Un commento a firma di Mirella Armiero, che rivendica il peso avuto dal Corriere del Mezzogiorno nella critica all’operato di De Luca, e la notizia che il Teatro Bellini non ottiene il riconoscimento di Teatro Nazionale, e che l’Assessorato alla Cultura della Regione si appella al Tar, chiudono la pagina e lasciano l’amaro in bocca. Potremmo provare ad addolcircela con l’intervista che Claudio De Magistris, ma il retrogusto non è meno amaro.
«Quella del doppio incarico di De Fusco – dice Claudio De Magistris – era una situazione paradossale. […] De Fusco accumulava emolumenti fino a 300 mila euro all’anno con il risultato di avere un Festival bloccato e un Mercadante con una gestione monocratica. […] Il Teatro Nazionale, primo del sud Italia, dovrebbe avere i volti dei Martone, Servillo, De Filippo, Moscato, Rigillo, Barra, Borrelli, De Simone, eccetera […] Non servono assistenzialismo e contributi se non ci sono programmi validi». Come non sottoscrivere? Ma la politica saprà farsi promotrice per rompere le cattive abitudini del passato e del presente, ad evitare che una voce del capitolato gestionale delle risorse napoletane e campane – uno che è potenzialmente tra i più ricchi, com’è quello delle attività culturali – resti terra di devastazione e di saccheggio? La domanda esige una risposta qualificata, tanto più se si pensa all’esperienza del Forum Internazionale delle Culture, a come lo si è gestito, ai pessimi risultati che ha dato.
Claudio De Magistris dice «dispiace constatare che, nonostante ci fosse disponibilità finanziaria, non si è riuscito a dare forza e identità all’evento, ed è mancata organizzazione e soprattutto comunicazione [sicché] il risultato è stato mediocre». Molto bene, è quello che alla Presidenza della Commissione Cultura e Turismo del Comune di Napoli mi sgolo a ripetere da tempo, ma a quando una seria discussione sulle responsabilità?
«Come mai la Fondazione non si è ancora sciolta?», chiede chi lo intervista, e Claudio De Magistris risponde: «Che io sappia è in fase di chiusura e rendicontazione». E meno male, ma quale autorità sarà chiamata a giudicare ed eventualmente a trarre le dovute conclusioni? Come sarà pagato il danno che la Città ha senza dubbio ricevuto da tanta malaccorta capacità di gestire l’evento?

giovedì 26 febbraio 2015

Mercadante, teatro nazionale

Suppongo sappiate: il Mercadante è riuscito ad ottenere il riconoscimento di «teatro nazionale» dalla Commissione consultiva per la prosa del Ministero dei beni culturali, con quanto ne consegue per ciò che attiene all’erogazione di un consistente finanziamento pubblico. Senza dubbio è una buona notizia, ma un sereno ed onesto commento della notizia non può eludere gli elementi di criticità. Il Mercadante è ultimo nella lista dei teatri che ottengono il suddetto riconoscimento. Agguantato in extremis, si è scritto, e a ragione. Piuttosto che per il progetto, giudicato debole, il riconoscimento sembra venga concesso perché sarebbe stato insultante negarlo a una città che vanta una gloriosa tradizione teatrale. Come sempre, insomma, campiamo di rendita del passato che fu. Rendita che solo chi non è intellettualmente onesto può negare sia ormai ridotta al lumicino. Ce ne sarebbe di che avere l’amaro in bocca, ma un milione e 200mila euro all’anno ce l’addolciscono, quasi come a consolarci.
Cito dal Mattino di mercoledì 25 febbraio: «“Avevamo e abbiamo dubbi sul progetto del Mercadante – spiega il presidente Argano – ma Napoli ha una storia e una comunità teatrale che non poteva essere penalizzata. Non ci ha convinto pienamente perché non è bene articolato”. È una pesante critica al direttore artistico Luca De Fusco, che il progetto ha prodotto, una critica tale da determinare il basso punteggio dello Stabile napoletano. “Non è un giudizio sulla persona” precisano da Roma. “Ma ci sono molti elementi di opacità”. A cominciare dal rapporto non limpido tra il Mercadante e la Fondazione Campania dei Festival (della Regione), entrambi in mano a De Fusco. “Napoli, con la sua tradizione e i suoi protagonisti – aggiunge Argano – poteva mettere in campo un progetto potentissimo, ma purtroppo non è stato così: è fragile”».
Ogni considerazione mi pare superflua, non resta che rimboccarci le maniche e, per quanto ci è possibile, ciascuno secondo le proprie responsabilità, cercare di rimediare, di onorare l’occasione, senza sprecarla, con lo sforzo che compete a quanti sono in vario grado chiamati in questione. Trasparenza, in primo luogo, a cominciare da chi viene investito ai più alti e diretti livelli di responsabilità: delle pertinenze, dei ruoli, dei meccanismi gestionali, dei passaggi di interrelazione istituzionale. E poi un po’ d’amore per il patrimonio culturale della città: metterlo a frutto, smettendola di compitarlo come una stanca e logora liturgia, tra oleografia e decorazione.
Ancora una volta spetta a Luigi De Magistris districare i nodi, spegnendo sul nascere, se possibile, gli inevitabili contenziosi tra interessi di singoli e di gruppi a vario titolo chiamati a cooperare in un lavoro i cui frutti andrebbero a beneficio di ciascuno e di tutti. È un augurio, ma soprattutto un’esortazione. 

venerdì 13 febbraio 2015

“La polemica”?


La legge elettorale sulla quale si discute in Parlamento impone alla classe politica una riflessione sul suo ruolo di rappresentanza dell’elettorato, soprattutto in un momento storico che pare dare un peso decisivo ai modelli di comunicazione tra eletti ed elettori. Mi riservo di affrontare più estesamente la questione, ma qui vorrei prendere spunto da una colonnina che Il Mattino di giovedì 12 febbraio ha dedicato all’iniziativa di cui mi sono fatta promotrice negli ultimi mesi per mettere in risalto che è rubricata come “polemica”. Così, da un lato, ringrazio il quotidiano cittadino che anche stavolta, come è spesso già accaduto in passato, ha voluto dare attenzione alla mia iniziativa, ma, dall’altro, devo lamentare che non se ne sia colto il significato.
Definirla “polemica”, infatti, la svilisce a diverbio, a controversia che ha per oggetto un contendere per contendere. Non è così, naturalmente. La decisione di chiamare in causa il Sindaco Luigi de Magistris nella richiesta di adire alla documentazione relativa alla gestione dei fondi destinati al Forum Internazionale delle Culture, da me più volte vanamente avanzata al Commissario della Fondazione Forum Daniele Pitteri, è un passaggio che non ha nulla della “polemica”: intende portare la questione ad un livello più alto, perché non poter saper nulla di come sia stato speso del denaro pubblico, a fronte del patente fallimento di un evento che per Napoli avrebbe dovuto essere un’occasione da non perdere, la solleva a faccenda di rilievo istituzionale.
Nulla di “polemico”: nel rispetto del mandato che mi è stato affidato, mi faccio interprete dei napoletani che mi hanno votato, ma anche di quelli che non mi hanno votato. Questo è il modo in cui penso vada interpretato.   

martedì 10 febbraio 2015

Giorno del Ricordo


È solo da undici anni che le Foibe hanno conquistato il diritto di memoria. Fu il 30 marzo del 2004, infatti, che il Parlamento della Repubblica varò la legge che dichiara Giorno del Ricordo il 10 febbraio: solo allora le vittime di uno dei più orrendi massacri del “secolo breve” trovarono posto del sacrario virtuale dei civili sacrificati agli interessi della doppia verità ideologica. Fin lì la loro sorte era stata due volte crudele: povera gente precipitata negli anfratti rocciosi istriani e dalmati dalle belve di Tito e dai loro complici, prima, e poi inghiottite dal silenzio che avrebbe dovuto sigillare le cattive coscienze di tanti, di qua e di là da un confine ritracciato dall’infamia.
La storia delle Foibe è innanzitutto questo: un monito che addita un doppio orrore, quello della “pulizia etnica” e quello della “reticenza intellettuale”, entrambi perpetrati al servizio della “ragion politica” fatta Moloch cui immolare innocenti. L’oblio che per lunghi decenni ha ricacciato nel silenzio i tanti tentativi di riportare alla luce l’atroce verità consumatasi nel triennio che precedette la fine della Seconda Guerra Mondiale è una lezione di cinismo e di ipocrisia. In realtà, oggi siamo chiamati ad onorare le vittime di una certa Storia e di una certa Storiografia, entrambe al servizio della stessa logica disumana. Basti pensare al fatto che ancora non abbiamo il numero, ancorché approssimativo, di quanti furono infoibati in quegli anni. Ancora non sappiamo se esistano altre fosse comuni oltre a quelle scoperte. Abbiamo, invece, i nomi dei carnefici, quasi tutti morti di vecchiaia, senza aver mai pagato per le loro colpe, coperti in Jugoslavia e qui in Italia da chi temeva che, insieme a loro, sul banco degli imputati sarebbe stata portata anche la più strumentale delle vulgate intorno alla Resistenza.
Di fatto, abbiamo dovuto attendere che il mito mostrasse le sue crepe perché in esso si potessero scorgere gli innominabili episodi di viltà e ferocia di cui si erano macchiati alcuni dei vincitori. Né è bastato averne prova tangibile per ridare subito dignità alle vittime: mentre amnistie, prescrizioni e rogatorie andate a vuoto impedivano alla giustizia di fare il giusto corso, gli infoibati subivano una seconda condanna, ancora più crudele per certi versi, perché li destinava ad essere considerati un prezzo da pagare per evitare di mettere in discussione un’egemonia culturale ormai consolidata.

Oggi non siamo chiamati solo a ricordare un orrendo capitolo di Storia, ma anche a fare della memoria un garante del diritto alla verità storica, traendola fuori dai gusci retorici in cui va a perdere ragione e senso. Ben più, molto di più, di una commemorazione: siamo chiamati ad onorare la Storia come continua ricerca, piuttosto che come freddo monumento alla più comoda tra le menzogne a disposizione.    

mercoledì 4 febbraio 2015

Dialogo con gli elettori

Caro Castaldi,
ho letto il post col quale ha segnalato ai lettori del Suo blog il mio comunicato del 26 gennaio e innanzitutto volevo ringraziarLa per l’attenzione. Da ciò che Lei ha scritto vedo che è stato in grado di ricostruire i passaggi essenziali della vicenda relativa al Forum, ma deve sapere che le cose sono state assai più complicate di quelle che Lei ha sintetizzato scrivendo di «sanguinose faide interne alle forze politiche presenti in Consiglio Comunale» e di «un logorante braccio di ferro tra Comune, Provincia e Regione su chi dovesse metterci le mani sopra». Da napoletano che non segue con particolare interesse ciò che accade nella nostra Città, quasi certamente Le saranno sfuggiti i miei interventi pubblicati sulla stampa locale soprattutto prima che il Forum prendesse avvio. Me lo faccia dire con amarezza: prevedevo che l’evento avrebbe dato risultati molto al di sotto di quelli che avrebbe potuto dare, come in realtà è stato. Un allarme che ho lanciato per tempo anche in tutte le occasioni che mi erano offerte in sede istituzionale, ma senza significativi risultati. Resta, ora, come anche Lei ha gentilmente voluto segnalare, la questione della trasparenza sulla gestione economica del Forum, a tutt’oggi in sospeso perché le mie richieste all’organo competente restano inevase. È una situazione frustrante, senza dubbio, ma devo correggerLa riguardo al punto in cui ha scritto «si è prestata alla politica con tanta buona volontà, probabilmente illudendosi di poter essere utile». Non era un’illusione, né ero tanto sprovveduta da non attendermi difficoltà. Quasi certamente Lei non è a conoscenza delle vicende interne al partito nelle cui liste mi ero candidata, l’Italia dei Valori, dunque non saprà che le difficoltà maggiori le ho incontrate proprio lì. Risparmio a Lei la noia e a me l’ulteriore amarezza sorvolando sulle ragioni che mi hanno portato a lasciare il partito. Ciò nonostante, i motivi che mi hanno portato alla decisione di impegnarmi per la mia, la nostra Città restano intatti, ancora più forti di allora. Quindi prendo per buona la Sua promessa di voto e rinnovo il mio grazie. Cordialmente,

Maria Lorenzi



Cara Lorenzi,
al suo posto io non resisterei un istante. È proprio vero che per l’impegno politico attivo bisogna esserci tagliati e vedo che lei ha tutti i requisiti necessari. Tra questi suppongo ci siano pure la prudenza e la discrezione, e questo frena la mia curiosità nel porle domande sul ruolo di Luigi De Magistris in tutta la faccenda. Mi faccia sapere come mettono le cose relative alla sua battaglia, sarò lieto di informarne i lettori di Malvino. Cordiali saluti,

Luigi Castaldi


lunedì 26 gennaio 2015

Bilancio sul Forum delle Culture

Un onesto bilancio di come sia andato il Forum Universale delle Culture a Napoli non può che essere assai deprimente, soprattutto se si comparano i numeri con quelli delle precedenti edizioni ( Barcellona,2004; Monterrey, 2007; Valparaiso, 2010): nel raffronto dei parametri comunementi presi in oggetto per questo genere di eventi, non uno si avvicina ai risultati conseguiti altrove. Preceduto e accompagnato da una infinita serie di polemiche, soprattutto relative alla governance, il Forum è iniziato in ritardo, arrancando nell'improvvisazione, disperdendo risorse ed energie in momenti che non hanno avuto alcun raccordo in un progetto organico. Di fatto, il Forum ha avuto meno di un quinto degli accessi previsti, col venir meno soprattutto delle attese che si prospettavano dall'estero, e di sè ha lasciato dietro poco o niente, se non lo strascico della questione rimasta aperta per un intero anno e non ancora chiusa: quella relativa alla trasparenza sulla gestione dei conti, con la mancanza di un consuntivo ormai a circa due mesi dalla chiusura del Forum. Chi ha seguito su queste pagine e su quelle della stampa locale e nazionale le iniziative da me intraprese come Presidente della Commissione Cultura e Turismo al Comune di Napoli, prima che il Forum aprisse i battenti, e dopo, sa bene che i miei  rilievi critici non sono mai mancati.numerosi interventi su quale straordinaria occasione di rilancio per la Città potesse essere il Forum, accorati appelli a non sprecarla, puntuali denunce degli errori che via via andavano cumulandosi per configurare quello che ad una seria analisi dei fatti non può che definirsi fallimento. Forse avrei potuto fare di più, ma onestamente non saprei dire cosa, soprattutto considerando il ruolo marginale che si è deciso di dare alla Commissione da me presieduta nell'ideazione e nella programmazione del Forum. Riconfermando l'impegno preso con gli elettori, assicuro che nulla sarà risparmiato su quanto ancora è possibile fare al riguardo: chiarezza. chiarezza sulle responsabilità. Chiarezza sui conti.

giovedì 8 gennaio 2015

Ritorno on-line ...

Dopo un periodo di silenzio, torno a riproporre in questo spazio le mie considerazioni sulla realtà politica locale e nazionale.
Innanzitutto è doveroso spiegare che il periodo appena trascorso è stato denso di attività, ma anche di cambiamenti: come Consigliere del Comune di Napoli, dal Gruppo consiliare IDV ho scelto di passare al Gruppo consiliare “La Città – Campania Domani”. Il passaggio, sempre nell'ambito della maggioranza che appoggia l'attuale Sindaco, è avvenuto in modo sereno, come conseguenza inevitabile della mia coerenza e attaccamento a valori di equità e trasparenza. Valori che non riscontro più nella formazione politica di Italia dei Valori, in particolare dopo la svolta che nell'ultimo congresso di San Sepolcro s’è deciso di dare alla linea del partito. Italia dei Valori al Comune di Napoli è in tutto uguale a quella vista a Sansepolcro, diversa dall’Italia dei Valori che mi ha accolto anni or sono; nella sua identità, nei suoi programmi e, più ancora, nel suo profilo antropologico, non è più la stessa: non sono io ad aver lasciato l’Italia dei Valori, ma è l’Italia dei Valori ad essersi smarrita.
Resto quella che sono, resto fedele ad un elettorato che penso abbia buon diritto di sentirsi tradito, continuo ad avere sacri i principi che mi hanno spinto a interessarmi della cosa pubblica e ribadisco l’impegno preso con chi mi ha votato.
Resto nell’area del centrosinistra, rinnovo il mio sostegno a Luigi De Magistris, mi schiero a fianco di chi ha un progetto che non si esaurisce nel velleitarismo e nell’opportunismo della politica politicante e apre un percorso di riappropriazione della funzione di rappresentanza.
Sono grata, dunque, a chi ha creduto nell'integrità della mia persona e orgogliosa di fare parte del nuovo Gruppo “La Città – Campania Domani” assieme al Presidente Raimondo Pasquino e al Consigliere David Lebro, con una rimotivata lena a fare del mio meglio per la Città, che di tutto ha bisogno, tranne che di una politica che si logori in sterili e velenosi conciliaboli da corridoio, di processi sommari a carico di chi non si appiattisce sui diktat delle segreterie nazionali, di lotte per bande, per giunta pure sgangherate.