Ancora
una volta siamo costretti a fare i conti con il terrorismo. Ancora
una volta corriamo il rischio di fare il gioco dei terroristi.
Sappiamo bene cosa vogliono, sappiamo bene che le vittime per loro
sono solo un mezzo, che il loro vero fine è muovere l’opinione
pubblica alla paura, i governi a reazioni fuori misura. Dio non
voglia che si commetta l'errore di secondare i loro disegni. Che
l'emozione non sia il tributo da versare per sentirsi esentati dal
dovere di comprendere. Che non sia strumentalizzata da chi si
proclama il più fiero nemico dei terroristi ma spinge a soluzioni
che potenziano gli effetti dei crimini favorendo la loro azione di
proselitismo e di reclutamento. Dinanzi alla violenza che lo sgomento
ci rappresenta come la furia di una cieca bestia, e che in realtà è
la realizzazione di un piano freddamente studiato, vinca la ragione.
Siano bandite, da un lato, le vuote costruzioni retoriche e,
dall'altro, le fruste semplificazioni di narrazioni che non reggono
alla realtà dei fatti. Non si ripetano gli errori commessi
all'indomani dell'11 settembre 2001, cedendo alla tentazione di
sentirci sullo scenario di uno scontro tra civiltà per avventure che
si rilevino perdenti.
Quella
che da tempo si consuma in Medioriente, e comincia a lambire le
capitali europee, non è una guerra tra religioni, ma una feroce
contesa per il riassetto di un'area che da qualche decennio è in
permanente stato di destabilizzazione: quella che veste l'aspetto di
una sanguinaria resa dei conti tra comunità sciite e sunnite, e tra
correnti interne al sunnismo, non è altro che il quadro
sovrastrutturale di uno scontro giocato per interessi ben distanti
dalla polemica teologica. La partita è tutta geopolitica e gli
attori sono in primo luogo l'Iran e l'Arabia Saudita. L'Isis –
possiamo anche chiamarlo Daesh, se vogliamo togliergli ogni dignità
di Stato, ma di fatto ormai controlla un'area ampia quanto
l'Ungheria – l'Isis, dicevo, raccoglie materiale umano tra
esaltati, autoctoni o foreign fighters, che nel disegno del
Califfato sublimano una condizione di malessere esistenziale, ma i
loro capi sono le schegge impazzite dei regimi caduti con le
cosiddette primavere arabe, gerarchi dei regimi del partito Baath,
che qualche raffinata mente si è illuso di poter manovrare ai
propri fini, ben presto vedendo sfuggirsi di mano ciò che aveva
creato.
È
atroce, ma gli attentati di Parigi, le reiterate minacce ai paesi
europei, le cellule islamiste che ormai nascono in franchising a
Londra come a Bruxelles, nelle bainlieu parigine o nelle periferie
di Marsiglia, sono mosse che i vertici dell'Isis giocano ai margini
della loro scacchiera, e tuttavia hanno valenza solo per ciò che
implicano riguardo al ruolo che dalla Turchia all'Irak, dalla Libia
all'Afghanistan, fin qui hanno giocato le potenze occidentali. In
Siria si decidono le politiche d'influenza sull'area, e anche se
tardivamente, di certo troppo tardivamente, pare che Stati Uniti e
Russia stiano arrivando a comprendere che senza una governance
condivisa con chi è realmente intenzionato a spazzare via la
minaccia del terrorismo non vi è alcuna via di uscita. Occorre
affamare la bestia, non cedere alle sue provocazioni che si
travestono da jihad. Occorre finalmente tagliare i flussi di risorse
che ai criminali della bandiera nera arrivano da Riad e dal Qatar,
impedire che gli approvvigionamenti economici e militari arrivino
loro da canali fin qui rimasti incontrollati: immaginare crociate in
difesa dell'occidente giudaico-cristiano, a ondate di bombardamenti
o con campagne di terra, non può che gettare benzina sul fuoco,
dando sostanza alla vulgata della propaganda salafita e waabita di
un Califfato come controffensiva al neo-capitalismo e alla decadenza
morale dell'occidente.
I
nostri valori di tolleranza, di rispetto per la vita, di libertà
religiosa non possono essere sacrificati per essere difesi. Il
nostro stile di vita non deve essere messo in discussione da chi
ritiene che sia la causa dell'attacco che subiamo: saremmo al
controsenso di cedere a ciò che intendiamo combattere. La sfida che
ci è gettata in faccia può vederci perdenti solo se lasceremo che
la paura ci impedisca di vedere ciò che realmente sta accadendo.
Accettarla sul piano che i terroristi dell'Isis hanno scelto sarebbe
catastrofico. Vedere nell'Islam una religione di conquista, vedere
nei migranti dei potenziali assassini, è quello cui veniamo
tentati: cedere sarebbe la rovina.
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