L'articolo
a firma di Alessio Gemma (Napoli – la Repubblica, 9.9.2015)
illustra ottimamente la situazione conseguente al decreto licenziato
il 1° luglio 2014 dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
del Turismo: a quindici teatri napoletani, molti fra i quali negli
ultimi decenni hanno dato vita ad esperienze di straordinario livello
artistico, viene sospesa ogni forma di contributo pubblico. Per la
natura stessa di un settore che ormai da tempo non può far fronte
ai costi d'impresa con le sole risorse derivanti dagli utili, sarebbe
stato meno ipocrita decretarne d'imperio l'immediata chiusura. Mi
pare evidente che, a dispetto delle dichiarazioni d'intento espresse
alla voce «obiettivi strategici» (art. 2), la logica che ha
informato l'improvvido decreto sia in patente continuità con quella
che ha devastato la cultura italiana lungo tutto il ventennio
berlusconiano: se non fai cassa, sei di peso, dunque poco male se
sparisci. Non è questa la logica che ha portato al degrado delle
eccellenze che ormai ci è dato solo rimpiangere, promuovendo ogni
sorta di mediocrità, purché di pronta appetibilità? È azzardato
imbastire un parallelo tra questo degrado e quella «demagogia
dall'alto» che minaccia di svuotare la democrazia di ogni sostanza
lasciandone intatta la mera forma? Lasciamo perdere, sarebbe
divagare: torniamo alla questione dei quindici teatri napoletani che
corrono il rischio di trasformarsi in paninoteche o in sale da
videopoker. L'articolo dà voce a quanti, a vario titolo responsabili
dell'amministrazione pubblica locale, comunale e regionale, si stanno
attivando per strappare una qualche deroga al signor Ministro, com'è
d'uso, in extremis. Del tutto condivisibili, direi, i toni
preoccupati. E tuttavia sono sicura che anche ad essi non può fare
difetto la presa d'atto che ogni concessione, necessariamente
limitata al possibile, non sarebbe la soluzione a un problema che a
mio modesto avviso è più ampio e esorbita dal caso specifico. Ne
parlo grazie all'esperienza maturata negli oltre quattro anni di
presidenza della Commissione Cultura e Turismo del Comune di Napoli,
che non sarà superfluo rammentare, qui, sia organo di mera funzione
consultiva. Bene, penso che la vicenda del Forum Internazionale delle
Culture – e mi riferisco a tutto ciò che ha preceduto e
accompagnato l'evento, oltre che a ciò che poteva essere e non è
stato – sia emblematico del limite che affligge anche la più
encomiabile volontà, mortificandola a velleitarismo. È il limite
che impronta la revisione della spesa pubblica da parte dello Stato
sulla base di criteri ispirati al più spiccio mercatismo, ma che
allo stesso tempo sottrae alle amministrazioni locali quel grado di
autonomia – politica, prim'ancora che economica – che abbia modo
di darsi i tempi e i modi del progetto di largo, ma soprattutto di
lungo respiro. In altri termini, direi non se ne esca senza il
recupero di un'articolata presa d'atto, a Roma e a Napoli: in certi
ambiti, e la cultura è uno di questi, la produttività non può
esaurirsi nel piatto calcolo d'impresa; l'autonomia si guadagna
producendo eccellenza che sovverta la logica di questo calcolo; nulla
di questo può realizzarsi fino a quando governo centrale e governo
locale continueranno ad essere appiattiti sulla gestione delle
emergenze, che si traducono in sofferenza economica solo dopo che
sono state eluse come occasioni di sviluppo e di crescita.
Maria
Lorenzi
Presidente
della Commissione Cultura e Turismo del Comune di Napoli
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