mercoledì 16 settembre 2015

L'articolo a firma di Alessio Gemma (Napoli – la Repubblica, 9.9.2015) illustra ottimamente la situazione conseguente al decreto licenziato il 1° luglio 2014 dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali del Turismo: a quindici teatri napoletani, molti fra i quali negli ultimi decenni hanno dato vita ad esperienze di straordinario livello artistico, viene sospesa ogni forma di contributo pubblico. Per la natura stessa di un settore che ormai da tempo non può far fronte ai costi d'impresa con le sole risorse derivanti dagli utili, sarebbe stato meno ipocrita decretarne d'imperio l'immediata chiusura. Mi pare evidente che, a dispetto delle dichiarazioni d'intento espresse alla voce «obiettivi strategici» (art. 2), la logica che ha informato l'improvvido decreto sia in patente continuità con quella che ha devastato la cultura italiana lungo tutto il ventennio berlusconiano: se non fai cassa, sei di peso, dunque poco male se sparisci. Non è questa la logica che ha portato al degrado delle eccellenze che ormai ci è dato solo rimpiangere, promuovendo ogni sorta di mediocrità, purché di pronta appetibilità? È azzardato imbastire un parallelo tra questo degrado e quella «demagogia dall'alto» che minaccia di svuotare la democrazia di ogni sostanza lasciandone intatta la mera forma? Lasciamo perdere, sarebbe divagare: torniamo alla questione dei quindici teatri napoletani che corrono il rischio di trasformarsi in paninoteche o in sale da videopoker. L'articolo dà voce a quanti, a vario titolo responsabili dell'amministrazione pubblica locale, comunale e regionale, si stanno attivando per strappare una qualche deroga al signor Ministro, com'è d'uso, in extremis. Del tutto condivisibili, direi, i toni preoccupati. E tuttavia sono sicura che anche ad essi non può fare difetto la presa d'atto che ogni concessione, necessariamente limitata al possibile, non sarebbe la soluzione a un problema che a mio modesto avviso è più ampio e esorbita dal caso specifico. Ne parlo grazie all'esperienza maturata negli oltre quattro anni di presidenza della Commissione Cultura e Turismo del Comune di Napoli, che non sarà superfluo rammentare, qui, sia organo di mera funzione consultiva. Bene, penso che la vicenda del Forum Internazionale delle Culture – e mi riferisco a tutto ciò che ha preceduto e accompagnato l'evento, oltre che a ciò che poteva essere e non è stato – sia emblematico del limite che affligge anche la più encomiabile volontà, mortificandola a velleitarismo. È il limite che impronta la revisione della spesa pubblica da parte dello Stato sulla base di criteri ispirati al più spiccio mercatismo, ma che allo stesso tempo sottrae alle amministrazioni locali quel grado di autonomia – politica, prim'ancora che economica – che abbia modo di darsi i tempi e i modi del progetto di largo, ma soprattutto di lungo respiro. In altri termini, direi non se ne esca senza il recupero di un'articolata presa d'atto, a Roma e a Napoli: in certi ambiti, e la cultura è uno di questi, la produttività non può esaurirsi nel piatto calcolo d'impresa; l'autonomia si guadagna producendo eccellenza che sovverta la logica di questo calcolo; nulla di questo può realizzarsi fino a quando governo centrale e governo locale continueranno ad essere appiattiti sulla gestione delle emergenze, che si traducono in sofferenza economica solo dopo che sono state eluse come occasioni di sviluppo e di crescita.


Maria Lorenzi
Presidente della Commissione Cultura e Turismo del Comune di Napoli

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